Il mito è un universo di frammenti, di storie e di illuminazioni. Quasi sempre é animato da esseri straordinari, irraggiungibili divinità o più avvicinabili semidei, spesso da eroi, ma qualcuno, è anche un semplice e più terreno umano. Rivelatrice la battuta di Jung: “I miti sono diventati malattie” per raccontare come il racconto del mito vive ancor oggi nella nostra quotidianità e condiziona i nostri modi d'essere, la nostra vita, i comportamenti sociali, culturali e politici.
E’ questo il tema della mostra di Gianluigi Colin al MADRE di Napoli, che affronta il tema del dialogo tra storia della classicità e valori della contemporaneità.
Il mito è un insieme di racconti fantastici che da sempre trova corrispondenza nella poesia, nella letteratura e nelle arti. Ma quali sono oggi gli dei che (anche inconsapevolmente) veneriamo? Non parliamo sempre di potere, denaro bellezza? E non vediamo sulle pagine dei giornali sempre più titoli che ci parlano di guerra? Non viviamo in luoghi (fisici e mentali) nei quali ci perdiamo, non ci riconosciamo, manchiamo di identità? E questo, forse, proprio il labirinto del nostro esistere, nel quale ci sentiamo come Teseo alla disperata ricerca di un’Arianna che ci aiuti a trovare una via d'uscita. Una salvezza.
Il lavoro che viene presentato nella mostra DÈI al Madre, muove da una riflessione specifica: il mito è il racconto del mondo che rinasce in ogni uomo; è dentro di noi anche quando non lo riconosciamo.
Nel progetto si presentano alcune opere dedicate a una nuova rappresentazione del mito contemporaneo. Le opere evocano la presenza invasiva degli dèi pagani: sono divinità che superano barriere culturali e politiche e sono, forse, l' esempio di una vera globalizzazione invisibile, di una radicalizzazione culturale capace di superare frontiere, ideologie, religioni.
Per mettere in scena gli déi del nostro tempo, Colin, come ricorda Vincenzo Trione, sceglie a una strategia originale: “Per dar vita ai suoi affreschi inesatti, imperfetti, sgrammaticati, ricorre a una tecnica complessa, fondata sull’incontro tra ricognizione e reportage. Dapprima, si sfogliano i quotidiani; poi, si prelevano pagine su cui appaiono immagini “rivelatrici”; poi, si accartocciamo quei fogli, con un gesto di intolleranza morale; poi, si fotografano questi “stropicciamenti”; poi, si stampa il file su carta di giornale, che viene appiccicata su un letto fatto a sua volta di sedimentazioni di carte di giornali (una sorta di “riscrittura” della tecnica classica dell’imprimitura); infine, con impeto, si interviene con le mani su questo materiale, con ulteriori piegature. L’approdo. Un tessuto increspato, che sta per strapparsi. Un mare agitato da onde. L’opera acquista un’inattesa consistenza plastica.
La mostra – interamente finanziata da sponsor privati - presenta 14 opere (prevalentemente di grande formato) toccando il tema di quattro divinità della mitologia classica e un luogo mitico: il labirinto.
Così ecco ARES/ MARTE, il dio della guerra nelle immagini di una pistola, di una scena di combattimento in Iraq o nella cartina di un combattimento a Gaza.